Il tumore della prostata rappresenta il tumore di maggior frequenza nel maschio (13%), dopo quello del polmone e del colon e il tumore più frequente in assoluto dopo i 65 anni. Si stima che in Italia ogni anno vi siano 9000 nuovi casi. La mortalità in assoluto (compresi i casi già diagnosticati) è di 22 uomini affetti dal tumore ogni 100.000 individui.
Fattori di rischio accertati sono: l’aumento dell’età e la familiarità (rischio aumentato se parenti di primo grado di portatore di tumore prostatico). Vi sono studi che dimostrerebbero anche il ruolo del fumo di sigaretta (più di 20 al giorno) o un aumento eccessivo del colesterolo nel sangue. Quindi per la prevenzione è utile un ridotto apporto di grassi animali e un aumentato apporto di frutta e cereali. Importante anche l’esercizio fisico. L’assunzione di 3 caffè al giorno (per chi non ha controindicazioni) riduce il rischio di tumore prostatico.
Diagnosi: Il PSA è un marcatore (una glicoproteina) prodotto praticamente solo dalla prostata (organo specifico). Si alza per diversi motivi (tumore, infiammazione, infezione, stimolazione meccanica) e quindi non è specifico per una malattia (malattia specifico); in pratica ci dice che qualcosa non va nella prostata ma non ci dice cosa. Sta all’urologo capire cosa non va anche se a volte non è facile. Negli ultimi tempi il ruolo del PSA è stato messo in discussione perchè aiuterebbe a fare la diagnosi anche di tumori “indolenti” cioè che non si sarebbero mai sviluppati clinicamente. Quindi c’è il rischio di trattare tumori anche quando non è necessario. Non dimentichiamoci però che anche un recente studio (studio ERSPC con 180.000 persone coinvolte in Europa) ci ha detto che l’uso del PSA riduce la mortalità di circa il 20% soprattutto nei pazienti sotto i 70 anni. Il valore massimo di riferimento è 4 ng/ml (secondo il metodo di dosaggio più diffuso). Tale valore può scendere o salire a seconda dell’età e in chi ha familiarità per il tumore e quindi è solo indicativo. Anche la velocità con cui il PSA cresce nel tempo (PSA velocity) è importante per come aiuto per la diagnosi così come il rapporto tra la sua componente libera e legata ad alcune proteine (PSA free/total) che si usa per valori di PSA un poco più alti del normale (fino a 10 ng/ml). Più alta è la componente “libera” e meno probabilità vi è di trovare il tumore (è un po’ come il colesterolo buono e quello cattivo). L’Esplorazione Rettale è fondamentale per la diagnosi. Se positiva (es. presenza di noduli o irregolarità) aumenta il rischio di tumore prostatico specie se con PSA elevato. L’ecografia prostatica trans-rettale non ha nessun ruolo nella diagnosi di tumore prostatico perché la maggior parte di essi (80%) sono isoecogeni (hanno la stessa ecogenicità e quindi il tessuto malato è uguale a quello sano dal punto di vista ecografico). Nei casi dubbi da qualche anno ci viene in aiuto la Risonanza magnetica prostatica multiparametrica (RMNm) che si esegue con il mezzo di contrasto. Questo è, al momento l’unico esame per immagini che può dare indicazioni utili. E’ efficace nella diagnosi dei tumori più aggressivi (vede meno quelli meno aggressivi) e tra quelli aggressivi ne “vede “statisticamente 8 su 10. Ma la diagnosi vera e propria di tumore prostatico si fa con la “Biopsia prostatica” che consiste nell’introduzione (in anestesia locale o la sedazione), di una sonda rettale grossa poco più di un dito, all’interno della quale è presente un piccolo canale necessario per fare dei piccoli prelievi cilindrici (frustoli) di tessuto prostatico tramite un ago dedicato. La manovra dura pochi minuti e di solito è ben sopportata. Se la RMNm è positiva (ci sono cioè sospetti in alcune zone definite), si esegue la biopsia prostatica Fusion che permette, tramite ecografi dotati di programmi molto sofisticati, di “fondere” cioè sovrapporre l’immagine RMNm con quella ecografica (tecnica con cui, come abbiamo visto, si esegue l’esame) per eseguire quindi un prelievo mirato sulle zone “target” (cioè sospette) e non “random” (a caso).
Inquadramento della malattia e del pz. e indicazioni alla terapia. Una volta fatta la diagnosi di tumore prostatico devono essere presi in considerazione alcuni parametri per indirizzare verso il suo corretto trattamento. Innanzitutto l’età e le condizioni generali del paziente. Come parametri “tecnici” fondamentali tra questi vi è il Gleason Score, o punteggio di Gleason (dal nome dell’Anatomo-patologo che l’ha introdotto), che misura l’aggressività del tumore. Varia da 5 a 10 ed è la somma di due numeri (es 3+3 oppure 5+4 etc) che rappresentano i due tipi di “architettura” del tumore; quello più (il primo) e quello meno rappresentato (il secondo) nella biopsia. Ci dà una buona indicazione su come il tumore può evolvere. Un Gleason 6 è di solito un tumore meno aggressivo (più curabile e con meno possibilità di dare metastasi) che un Gleason 9-10 (molto aggressivo). Il numero dei che viene prima, essendo più rappresentato, detta la “linea” per quanto riguarda l’aggressività. Ad esempio è più aggressivo un Gleason 4+3 che un Gleason 3+4 anche se entrambi fanno un Gleason 7. Importanti per la prognosi sono anche il valore del PSA al momento della biopsia, il numero di frustoli (piccoli cilindri di tessuto prostatico) interessati dal tumore e in che percentuale della loro lunghezza il tumore è presente. Se c’è il rischio della presenza di metastasi al momento della diagnosi in base al Gleason, al PSA e alla visita, è fondamentale eseguire una “scintigrafia ossea total-body” (il tumore prostatico metastatizza soprattutto alle ossa) e una TAC addome con mezzo di contrasto (per valutare ev. interessamento degli organi addominali e dei linfonodi).Come accennato, la terapia non univoca ma cambia in base all’età del paziente , alle sue condizioni generali ed al referto della biopsia.
Trattamento:
”Sorveglianza Attiva” (Watchfull Waiting), con lo scopo proprio di evitare i trattamenti più aggressivi inutili di neoplasie già diagnosticate e che in teoria non si svilupperebbero clinicamente. E’ indicata in pz. a basso rischio (si considerano quei pazienti a basso rischio pz. con PSA sotto 10 ng/ml, Gleason ≤ 6, al massimo due frustoli positivi di tumore e tra quelli positivi, presenza al massimo del 50% di tumore al loro interno).E’ da sottolineare la parola “attiva” perché prevede un’attenta sorveglianza del paziente con biopsie ripetute ad intervalli e controllo seriato del PSA con Esplorazione Rettale .Il Trattamento chirurgico è il trattamento di riferimento per i pz. operabili (senza altre patologie di rilievo che sconsiglierebbero l’intervento) con una spettanza di vita sopra i 10 anni e che non presentino una malattia metastatica dall’inizio . L’intervento consiste nel togliere la prostata, le vescichette seminali e i linfonodi che drenano la prostata (pelvici e otturatori tranne che in casi selezionati). Può essere eseguito in tramite in robot in laparoscopia o a cielo aperto. La latteratura è chiara: non esiste una tecnica migliore di un’altra. A 6 mesi, quelli che sono i parametri che indicano una buona riuscita del”intervento e cioè: la continenza, la potenza sessuale e la radicalità oncologica sono sovrapponibili nelle varie tecniche. La differenza la fa il chirurgo con la sua esprienza e sensibilità. In buona sostanza è meglio un chirurgo con buona esperienza a cielo aperto o laparoscopica che un mediocre chirurgo che usa il robot. Nei pz. non operabili o che rifiutano l’intervento si può optare per la Radioterapia. (il ruolo della Radioterapia può essere fondamentale nei pz. già operati ma nei quali la malattia si ripresenta, come vedremo dopo). Un’altra opzione è la Brachiterapia. Si fa solo per prostate abbastanza piccole e tumori poco aggressivi (avviene con l’impianto di piccoli semi “radioattivi” direttamente nella prostata, che hanno una radioattività limitata nel tempo).Nuove opzioni terapeutiche si sono affacciate negli ultimi anni per i pazienti più anziani o non operabili, come la crioterapia (una sorgente di freddo a circa -190, inserita via trans-uretrale). Sono da considerarsi però ancora sperimentali. Nei casi di tumore avanzato alla diagnosi, di tumore che non ha risposto alla precedenti terapie o di pazienti anziani e con rischio di progressione è indicata la terapia ormonale. E’ costituita da farmaci somministrati per iniezione (mensile od ogni 3 mesi) che bloccano la produzione di testosterone dai testicoli (il testosterone stimola la produzione delle cellule prostatiche comprese quelle tumorali). Questi farmaci sono efficaci sui sintomi della malattia, ritardano la progressione del tumore anche se non modificano la sopravvivenza globale (aiutano in maniera efficace a controllare il tumore fino a quando questo non si sviluppa in maniera incontrollata). Tra questi ci sono gli LHRH agonisti come la leuprolina, la triptorelina etc. e gli LHRH antagonisti come il degarelix. Bloccano entrambi il testosterone con meccanismi diversi e come effetti collaterali presentano calo o azzeramento della libido oltre che effetti negativi sul metabolismo osseo e sul cuore. Esistono anche farmaci da assumere per bocca per la cura dei tumori prostatici localmente avanzati (tumore che cresce localmente al di fuori della prostata) che si usano specie nei pazienti più giovani perché , a differenza degli altri non sopprimono il testosterone e quindi la libido (es. bicalutamide), con però anch’essi possibili effetti collaterali anche fastidiosi (aumento di volume mammella a volte con dolore).I pz. in cui tutte queste terapie non risultano efficaci e diventano refrattari (non rispondono più) alla terapia con LHRH agonisti o antagonisti, si inviano all’Oncologo per eseguire la cosiddetta “terapia di seconda linea”, cioè la chemioterapia per la quale si stanno studiando nuovi farmaci sui quali non mi soffermo. E’ importante sottolineare che, quando indicato, queste terapie possono essere combinate come per esempio, come dicevo, la Radioterapia dopo la Chirurgia in caso di “ripresa della malattia” o la brachiterapia dopo la Radioterapia, da valutare caso per caso.
Come si è potuto vedere, non esiste un’unica terapia per il tumore prostatico ma diversi trattamenti, che possono essere anche integrati tra loro, da proporsi in base all’età ed alle condizioni generali del paziente. Il futuro sarà quello di trovare dei marcatori al posto del PSA (ancora molto valido) che ci aiutino a distinguere i tumori senza evolutività clinica da quelli che portebbero a morte il paziente se non venissero trattati.